L’avocado è frutto ormai conosciuto e consumato da tempo anche in Italia. Pochi sanno però che è anche coltivato nel Belpaese da alcuni decenni, andando a colonizzare ben specifiche aree particolarmente idonee alla sua produzione.
Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, però, i cambiamenti climatici non sono il fattore trainante dell’espansione in Italia della coltivazione dell’avocado: coltura di origine tropicale, esigente quanto a disponibilità idrica, l’avocado predilige sì temperature tendenzialmente miti, ma soffre degli eccessi termici sia verso il basso, sia verso l’alto.
Le profonde oscillazioni delle temperature, con estremi sempre più marcati in entrambe le direzioni, sfavoriscono quindi l’avocado, il quale risulta coltivabile solo in alcune specifiche aree di Sicilia e Calabria.
Giunto al suo terzo appuntamento, dopo l’esordio a Interpoma per il mondo-mela e la seconda tappa incentrata sugli agrumi, Ascenza On The Road torna a fare tappa in Sicilia per incontrare tecnici, produttori e docenti universitari che hanno fatto dell’avocado una coltura in espansione, sia dal punto di vista agronomico, sia culturale.
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Questa coltura tropicale è da tempo al centro di alcuni gruppi di ricerca siciliani. In tal senso, la voce della Ricerca è giunta per bocca di Alberto Continella, dell’università di Catania, e di Vittorio farina, dell’Università di Palermo. Alberto Continella ha confermato le criticità legate ai forti sbalzi termici che i cambiamenti climatici stanno inasprendo di recente. Oscillazioni di temperature minime e massime, queste, che all’avocado risultano poco gradite. Ciò implica modifiche nella fisiologia stessa delle piante rispetto a quella che si riscontra nelle aree d’origine.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, lo studio dell’avocado come possibile coltura in Sicilia è iniziato nei primi anni ’60, lavorando sulle tecniche colturali e su diverse varietà e porta innesti. Negli anni si è così compreso come questa coltura abbia esigenze peculiari anche in termini di terreni e di qualità delle acque di irrigazione. Per tali ragioni, molte aree siciliane non si prestano alla sua coltivazione. Al contrario, il Catanese presenta una discreta pluviometria media e una buona qualità dell’acqua, con presenza molto limitata di sodio e di cloro.
Le condizioni termiche di estrema variabilità inducono però nelle piante modifiche profonde nel comportamento e quindi nella produzione. Ciò è influenzato anche dal fatto che la vegetazione è particolarmente lussureggiante e quindi si possono generare squilibri nei
confronti dei frutti a fronte di stress ambientali come le temperature inidonee e la salinità delle acque. Diviene quindi anche difficile per gli operatori elaborare stime precise delle rese finali dell’anno.
I cambiamenti climatici stanno però evolvendo, quindi la ricerca sta cercando di individuare nuove tecniche agronomiche e nuove varietà, sia per la produzione, sia da impiegare come porta innesti. Uno degli obiettivi è quello di ottenere varietà che possano essere coltivate con sesti di impianto generosi, al fine di incontrare le esigenze spaziali delle piante e di metterle in tal modo in grado di aumentare le rese.
Un altro fronte di ricerca guarda invece a un miglior rapporto seme/polpa, al fine di aumentare la quantità di frutto utile al consumo, in special modo sulla varietà Haas, la più diffusa a livello mondiale.
Date le elevate esigenze idriche dell’avocado, può essere necessario un apporto extra di acqua tramite i più razionali sistemi di irrigazione. Su questo argomento ha portato le proprie esperienze Vittorio farina dell’Università di Palermo. Se nelle sue aree d’origine l’avocado è visto talvolta come un competitor per la risorsa idrica, ciò non succede nelle aree vocate siciliane, ossia il Messinese e il Catanese, nella fattispecie l’area di Giarre. In queste zone le dotazioni idriche sono abbondanti e di buona qualità. I cambiamenti climatici stanno però influendo anche su tale variabile, come accaduto per esempio nell’inverno passato, molto secco, che ha influito significativamente sulla disponibilità idrica complessiva per l’agricoltura.
Per consentire la coltivazione dell’avocado anche in tali condizioni di ristrettezze idriche sono state quindi messe a punto delle tecniche di coltivazione in condizioni di “stress idrico controllato”. Tali tecniche sono già note su altre colture, ma su avocado non erano ancora state affinate. Il progetto, al centro anche di un dottorato di ricerca, ha visto la collaborazione di Irritec, società siciliana specializzata negli impianti di irrigazione di precisione. Oltre alle competenze sulla fisiologia delle piante serve infatti anche la competenza in tema di sensoristiche e centraline che descrivano i parametri dell’aria, del suolo e delle piante stesse. L’obiettivo è quello di preservare la quantità e la qualità dei frutti, modulando la risorsa idrica in modo puntuale e preciso.
Le attività dell’Università di Palermo guardano però anche a collaborazioni internazionali, come per esempio quelle con i fisiologi vegetali dell’Università spagnola di Valencia. Al centro di queste ricerche sono poste le cascole, sia dei fiori, sia dei frutti. L’avocado presenta infatti dicogamia proteroginica, necessitando nello stesso appezzamento di piante “A” e “B” che possano interagire per l’impollinazione. Purtroppo, le cascole sono significative, in special modo la seconda, essendo influenzata dalla competizione idrico/nutrizionale fra chioma e frutti. Una competizione in cui gioca un ruolo importante anche l’aspetto ormonale. Per tale motivo si stanno approfondendo le conoscenze sui processi fisiologici che nell’avocado influiscono sulle cascole, al fine di minimizzarne gli effetti.
Vittorio Farina ricorda infine come lo stesso frutto possa divenire uno scarto, per esempio perché di calibro troppo piccolo o se danneggiato da patogeni o altre cause, come per esempio gli urti dovuti al trasporto. Un secondo tipo di scarto è rappresentato invece da bucce e semi.
Oltre alla perdita quanto a rese, gli scarti influiscono negativamente sui produttori poiché questi devono smaltire gli scarti. Una prima possibilità è trasformare gli scarti in concimi e ammendanti, ma i produttori non considerano tale processo come valore aggiunto. Presso l’Università di Palermo è stato quindi lanciato il progetto ”Second Life Fruit”, il quale prevede la disidratazione degli scarti sino alla produzione di una farina utilizzabile per la produzione di prodotti da forno o da pasticceria. Questa farina aggiunge valore al prodotto finito sia in termini di antiossidanti sia di colore, migliorandone anche gli aspetti visivi.